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mercoledì 29 agosto 2012

Mal di Germania-Deutschlandweh

A sei mesi dalla fine del mio Erasmus, lento e sempre più spingente, si fa sentire il Mal di Germania. La depressione post-erasmus ti attende sempre dietro l'angolo, ogni momento di debolezza è una ricaduta.

Prima ero letteralmente ossessionata da Berlino, Hauptstadt der Welt, mica solo della DDR! La vita notturna, la street art, le persone meno banali che io abbia mai conosciuto in vita mia, i mercatini dell'usato, i ristoranti vegani, i cani senza guinzaglio...
La mia pagina Facebook Berlinweh è nata per "somatizzare" questo male psicologico.

Oggi invece il male era più ampio. Mi è venuta a mancare la Germania in sé e per sé, con tutti i suoi stereotipi e tutto il colesterolo hdl che trasuda dai Bratwurst.
Mi mancava non solo l'esperienza erasmus (vita dello studente amplificata con un distorsore) ma tutto il contorno di "tedeschità" collegato e allo stesso tempo indipendente.

Il cielo plumbeo, le persone silenziose ma attente, le biciclette, i portapacchi decorati delle biciclette. I ponti, i fiumi, l'architettura moderna che ricostruisce il passato, dacché è stata spianata per intero durante la seconda guerra mondiale.

Gli edifici in mattoni rossi. Il vestirsi un po' come viene, tanto l'importante è essere comodi e alternativi.
La raccolta differenziata con 3 cassonetti per il vetro: bianco, verde e marrone; al di là dello "Pfand" che riporti al supermercato. Caro mio Pfand, non sai quanto mi manchi. Credo che la civiltà possa essere misurata col vuoto a rendere: lasci pulito, riutilizzi, ricicli, ci guadagni... l'apoteosi dell'essere verde e risparmioso.

Le vecchie: le anziane donne tedesche meriterebbero un quadretto a sé stante. Hanno tutte una faccia fra il mesto, la pace dei sensi e il diffidente. Ma quando poi si aprono donano ai giovani tutta la speranza nel futuro.

E poi alcune vecchie stradine, Gäße, che ti senti quasi in un'altra epoca, fra il medioevo e il primo rinascimento.

Fai un giro fuori città: guarda i laghi, guarda la foresta nera, guarda le alpi della Baviera. Non ti senti il Romanticismo e lo Sturm und Drang che ti pervadono?

Vai a Cuxhaven: la Rimini tedesca, con i suoi Strandkörbe tutti allineati geometricamente con i loro colori che ti riparano dal vento, non ti sembra di essere in una cartolina degli anni '50?

Fai una passeggiata in riva al Meno, a Mainz, la sera. Guarda la cittadina opposta, Wiesbaden, non è pittoresco? Vacci di giorno, non la percepisci la rivalità fra microcosmi, come due cittadine di provincia, durante le guerre napoleoniche?

Riportatemi a Heidelberg, con la sua università, il suo castello e il suo centro di ciottolato con Bunsen che ti guarda dall'alto del suo becco. Rivoglio la stradina che porta in alto, costeggiando tutte le sedi accademiche, dove se sei fortunato puoi comprare per pochi euro dell'ottimo miele biologico.

Fatemi rivedere Hamburg, il suo porto, il quartiere di Altona con alcuni centri alternativi e il rifugio degli anarchici con le biciclette arrugginite su tutto il muro esterno.

Vorrei tornare a Regensburg, quella che chiamai "la Bergamo tedesca" con la sua città alta, il centro, pieno di colori e di fiori, di fiori che colorano, insomma, un tripudio di rosa, fuxia e viola tutto rigorosamente che sa di petunia.

Fatemi gelare ancora un pochino a Berlino, dove il freddo ti entra dentro, il ghiaccio ti si attacca sulle ciglia e la birra ti si gela fra le mani.

Mi manca la meticolosità tedesca, il loro "sottotono", il loro essere molto più rilassati di noi sulla vita ma molto rigidi sulle procedure e gli algoritmi che ci accompagnano quotidianamente.

Dove è il Quark? E la mia Käsekuchen? Datemi una birra che non ti rimanga sullo stomaco, ma scorra leggera come l'acqua giù per il gargarozzo.

Rivoglio la mia varietà di patate!!
So di essere mielosa e pesante, ma se non ci fosse la Germania la inventerei.

L' esperienza all'estero mi ha segnata moltissimo: la lingua tedesca mi ha insegnato un certo rigore, i tedeschi l'ospitalità. In un certo senso, la ritengo la mia Patria di adozione.

"mi piace così tanto la Germania che quasi quasi ne preferivo due"

martedì 14 agosto 2012

sono un'onnivora selettiva, anzi no, sono vegetariana


Ci sono cose che si fanno per convinzione, etica e buon senso da cittadino del mondo. Di base sono una fra le più convinte carnivore, la carne rossa mi fa impazzire, al solo pensiero mi viene l'acquolina in bocca ma...
MA, al di là della crudeltà e della violenza sugli animali su cui andrebbe aperto un capitolo a parte, trovo da irresponsabili e incoerenti non preoccuparsi del buco dell'ozono e dello spreco di risorse ed energie causato dagli allevamenti intensivi. Su questo scriverò una nota a parte, quando avrò il tempo di rispondere a tutti coloro che faranno del proselitismo affinché io torni a mangare carne come tutti.

Perché a quanto pare le mie scelte alimentari interessano di più gli altri che me stessa. Perché io non costringo nessuno a nutrirsi solo di cibi vegetariani o vegani, ma le persone se la prendono a morte se non sei "uno di loro" e non ti diverti a mangiare carne scadente del supermercato su una griglia. L'ultima volta che ho accettato di scendere a patti con la convivialità e rinunciare al mio essere vegetariana mi ha fatto rimanere la carne sullo stomaco per tutto il weekend e parte della settimana lavorativa.

In questo delirio in cui le persone cercano mille motivazioni sul perché io dovrei mangiare animali (anche più di) 2 volte alla settimana mi è stato detto, battendomi le dita sulla fronte, "è grazie al consumo di carne che l'uomo si è evoluto". Per fortuna esistono persone che hanno più tempo di me di documentarsi al riguardo e la risposta è presto disponibile: pubblico quindi una lettera di un laureato in scienze della nutrizione che meriterebbe di essere divulgata

Cari lettori,
riportiamo la lettera scritta pochi giorni fa dal prof. Siani alla redazione de L'Unità come risposta a un articolo scientificamente ben poco fondato, pubblicato il 3 maggio sullo stesso giornale a firma Fabio Perelli.
Egregio Dott. Perelli,
Leggiamo su L'Unità, più precisamente sullo spazio riservato alla Scienza nell'edizione per il web, un breve articolo dal titolo "Il successo evolutivo dei carnivori", recensione del lavoro "Impact of Carnivory on Human Development and Evolution Revealed by a New Unifying Model of Weaningin Mammals", pubblicato il 18 aprile 2012 sulla rivista scientifica Plos one, a firma di Elia Psouni, Axel Janke e Martin Garwicz.
Vi si afferma che, secondo lo studio suddetto, "Il successo evolutivo e il forte sviluppo demografico della nostra specie sono legati all'acquisizione della dieta carnivora. I vegetariani storceranno il naso, ma se vi trovate a leggere queste righe e a riflettere su quanto c'è scritto è probabilmente merito anche dei benefici dell'assunzione di proteine animali".Conclusioni di imprudente assertività, dal momento che gli stessi autori nel loro paper affermano testualmente che "However, the specific impact of carnivory on human evolution, life history and development remains controversial". [Tuttavia, l'impatto specifico del carnivorismo sull'evoluzione umana, sulla storia della vita e sullo sviluppo rimane controverso].
Sappiamo bene che i nostri predecessori si nutrivano anche di cibi animali rappresentati, nel caso di Homo habilis, da insetti e invertebrati casualmente presenti su rami, fiori, frutta e semi che costituivano la quasi totalità della sua dieta; successivamente i rappresentanti del genere Homo cominciarono ad approfittare delle carcasse abbandonate sul terreno dai predatori: in tali contesti, comunque, i consumi carnei erano rari, casuali, occasionali e discontinui e non potevano in nessun caso costituire una fonte di nutrienti capace di incidere in modo tale da indirizzare la nostra evoluzione. Con lo sviluppo dell'attività di caccia, la disponibilità di risorse alimentari di natura animale andò, ovviamente, crescendo; tuttavia i cibi vegetali rimasero la base fondamentale della dieta degli appartenenti al genere Homo.
Relativamente al successo evolutivo della nostra specie e alle acquisizioni delle capacità cognitive per cui ci è consentito "leggere queste righe e riflettere su quanto è scritto" vi è un generale consenso fra gli esperti sul fatto che la nostra evoluzione dipenda da fattori molto numerosi e di natura varia, ciascuno dei quali rappresentò una parte del contesto ambientale in cui i nostri predecessori subirono le pressioni della selezione naturale. Fra queste forze possiamo enumerare i caratteri fisici dell'ambiente, il clima, la vegetazione, la disponibilità di risorse edibili, la presenza di altre specie animali, la competizione per territorio e cibo e, per l'uomo, la stazione eretta e la conseguente libertà degli arti superiori, le specificità della sua fisiologia che hanno permesso o meno l'accesso ai cibi, la struttura sociale, i caratteri anatomo-funzionali del cervello, le acquisizioni culturali e così via.In ultima analisi, è il contesto adattativo che indirizza l'evoluzione.
La disponibilità di proteine animali permise un più breve periodo di allattamento e un tasso di riproduzione più elevato? Sicuramente un'adeguata disponibilità di cibo consente un maggior successo riproduttivo, ma non vale solo per la carne e indicare in questa il cibo capace di indurre modificazioni qualitative tali da indirizzare lo sviluppo delle capacità cognitive è una pura ipotesi priva di qualsiasi sostegno scientificamente valido. In molti studi, il disegno generale e la scelta delle variabili cimentate portano a risultati che inducono certi giudizi piuttosto che altri. In nutrizione, il principio generale scientificamente inattaccabile è il seguente: per vivere, crescere, riprodurci abbiamo delle necessità nutrizionali dipendenti in quantità e qualità prima di tutto dalla specie cui apparteniamo e, in seconda battuta, dalle nostre dimensioni, dallo stile di vita adottato e dall'ambiente in cui ci troviamo a operare; tali necessità nutrizionali le assumiamo dai cibi che consumiamo.
Il successo evolutivo della nostra specie sta, oggi, nel possedere il bagaglio culturale che ci consente di decidere, per scienza e coscenza (come noi medici siamo soliti dire) con quali cibi coprire le esigenze del sostentamento: lo possiamo fare esclusivamente con vegetali, aggiungere a questi prodotti animali (latte, uova e derivati) o decidere di accostarvi consumi carnei. Le capacità cognitive sviluppate nell'ambiente in cui è avvenuta la nostra evoluzione ci indicano le necessità nutrizionali e le fonti dalle quali derivarle; ci consentono di affermare che troviamo proteine in cereali e legumi oltre che nelle carni; che vi sono acidi grassi omega-3 nei pesci ma anche nelle noci. E conosciamo, anche, quanto le nostre scelte possano influire sugli ecosistemi e sulla crisi ambientale che stiamo attraversando.
Cordiali saluti,Vincenzino Siani
Dott. Vincenzino SianiLaureato in Medicina e Chirurgia e in Scienze NaturaliDocente in Ecologia della Nutrizione
Laurea Specialistica in Scienze della Nutrizione UmanaUniversità degli Studi di Roma "Tor Vergata"
Presidente della Società Italiana di Nutrizione Vegetariana-SINVE 

Posto che "la carne è debole", nel vero senso della parola, continuerò a mangiarla se e solo se proveniente da allevamenti rurali come quei pochi che esistono ancora nelle mie splendide valli bergamasche, dove ci sono una 30ina di vitelli in alpeggio completamente liberi di mangiare più che gli piace, vivere all'aperto (e che spazi!) ed essere trattati come parte della famiglia dal contadino, che li chiama per nome, li accarezza e si occupa della loro stalla come se fosse casa sua.
Idem con latte e uova.

consiglio a tutti di leggere questo libro, che ho comprato ieri ma non è pro-vegetarianesimo, cerca bensì di sensibilizzare sull'etica della dieta.